IL CASO BRAMARD – Edizioni Feltrinelli - "I Narratori"
Tre pagine dal libro
Nell’ufficio una pesante cappa di caldo e di fumo posava
sull’arredo anni settanta. – Aria condizionata rotta – disse
Arcadipane. – Siediti e non fare commenti.
I due lati della stanza non occupati dalla scaffalatura e
dalla finestra erano lasciati in balìa di un divano su cui pareva
qualcuno avesse appoggiato una padella rovente e di una
porta laccata di grigio, che Corso sapeva cieca.
Sedette su una delle due sedie davanti alla scrivania.
Arcadipane abbassò la tapparella per proteggergli gli occhi
dal sole e socchiuse la finestra, quindi si accomodò sulla
poltrona reclinabile come può farlo un uomo di quarantatré
anni con un forte accento lucano, uno stipendio di duemilaquattrocento
euro al mese e molti pensieri.
– Quello che mi fa incazzare – esordì, passandosi una
mano tra i pochi capelli concentrati nella parte posteriore
del cranio – è che a te non ti cadono. Cosa fai? Li lavi con il
rosso d’uovo delle tue galline?
Corso allontanò il posacenere stracolmo di cicche che
aveva davanti. Tutto nella stanza puzzava di pessimo tabacco
e del deodorante spruzzato per coprire la puzza di pessimo
tabacco.
– La famiglia? – chiese.
– Mariangela aveva un nodulo al seno, – la fece breve
Arcadipane – ma è andato tutto bene. La femmina ha il primo
mestruo e Luca forse perderà l’anno, ma comincia ad
allenarsi con la prima squadra. Tu insegni sempre?
– Sì.
– Sempre a mezzo servizio?
– Sì.
– Ok, ci siamo aggiornati, veniamo al dunque.
Corso tolse di tasca la busta di plastica e gliela porse.
– Da dove? – chiese Arcadipane, studiando il francobollo
sulla lettera.
– Romania.
– Dentro?
– And mercy on our uniform, man of peace or man of war:
the peacock spreads his fan.
– Che vuol dire?
– Uomo di pace o uomo di guerra, il pavone apre il suo
ventaglio. Sono gli ultimi versi della canzone.
Arcadipane soppesò la lettera, poi la lasciò cadere sulla
scrivania e prese le sigarette dal primo cassetto. Malgrado la
giacca e i baffi curati, nessuno avrebbe potuto scambiarlo
per un pianista francese: la sua faccia veniva dritto dritto da
antenati di fronte grossolana, gambe arcuate e carnagione
che le contrarietà subito infoschivano. La sua mente tuttavia
era affilata e questo era il motivo per cui da una decina d’anni
sedeva da quella parte della scrivania, il motivo per cui
Corso gliel’aveva lasciata senza tentennamenti e il motivo
per cui ora era lì.
– Quante sono con questa? – domandò il commissario,
appicciando la Muratti con un accendino di padre Pio, che
poi lasciò ricadere nel taschino.
– Tredici, tutte da paesi diversi – disse Corso. Si lasciò
andare contro lo schienale per sottrarsi al primo sbuffo di
fumo. – L’intervallo più breve tra una e l’altra è stato di cinque
mesi, quello più lungo un anno e sette mesi. L’indirizzo
sulla busta è battuto a macchina sempre con la stessa Olivetti
del ’72, i versi della canzone scritti a mano dalla stessa
Montblanc. Nessuna impronta o traccia di Dna. Le perizie
calligrafi che dicono che è un uomo: sicurezza, padronanza di
sé, perfezionismo, emozioni controllate, intelligenza pronta,
spiccato narcisismo, compulsione alla correttezza e totale assenza
di empatia emotiva.
Arcadipane sistemò il posacenere sopra una pila di fascicoli
con il timbro della questura.
– Dopo vent’anni forse potremmo prendere in considerazione
l’ipotesi che Autunnale siano più persone, no? Qualcuno
che si passa una specie di testimone.
– Potremmo, ma non è così.
Arcadipane incrociò le mani dietro la testa e si mise a
contemplare la sfera opaca del lampadario. Dalla finestra rumori
di città, l’assolo di un tram, poi un clacson. Oltre la
porta, telefoni e voci.
– È il momento in cui mi consigli di metterci una pietra
sopra? – chiese Corso.
Arcadipane lo guardò di sguincio, senza cambiare posizione.
– Lo sai quante possibilità ci sono di prendere un assassino
dopo…
– Sette mesi fa erano lo zero virgola tre. Sono peggiorate?
Il commissario fumò, senza stringere gli occhi.
– Tu eri il migliore. E non ci sei riuscito.
– I migliori trovano la gente viva e prendono il colpevole.
Per trovare i cadaveri o nemmeno quelli bastano i peggiori.
Arcadipane sostenne lo sguardo di Corso, poi tornò a rivolgere
gli occhi al soffitto. Qualcuno camminava al piano di
sopra. Tacchi di femmina. Il suono sparì. Dalla strada ora
salivano le voci maschili di un litigio: questioni di passo carrabile.
– Lo sai chi è ai domiciliari dalla settimana scorsa? – disse
Arcadipane, come lo chiedesse alla nuvola di fumo appesa
al soffitto.
– Morabito.
– Allora li leggi i giornali!
– L’ho sentito alla radio.
Arcadipane si allungò fino al plico chiuso da un solo elastico
verde e lo tirò a sé. Nel farlo urtò il posacenere e una
manciata di grigio cadde sulla scrivania.
– Il nostro amico Morabito Antonio… – lesse dal fascicolo,
senza badare alla cenere – …cinque prostitute ammazzate
tra l’81 e il settembre dell’83. Sempre accoltellate al ventre.
Sempre più di dieci coltellate: un generoso. Sessualità repressa,
problemi di erezione, odio verso le donne e tutto il
corredo. Se non lo prendevi, sicuro continuava… – Fece
scorrere gli occhi lungo la pagina. – Si è fatto venticinque
anni tondi tondi. Niente infermità mentale. In carcere condotta
senza una grinza, ha preso una laurea e collabora al
sito internet di un centro per le adozioni a distanza.
– Laurea in cosa?
Arcadipane scostò un paio di fogli.
– Psicologia – e spense il mozzicone. – Tu che ne dici?
Corso grattò via una goccia di resina dai pantaloni. I pini.
La montagna. La salita.
– Sai cosa direbbe uno psicologo? Persino Morabito forse?
– Mi sa che sto per saperlo.
– Direbbe che sono l’ultimo a cui dovresti rivolgerti per un
consiglio, dato che la mia visione della realtà è fortemente compromessa
dall’autolesionismo, dal senso di colpa, dalla mancata
elaborazione del lutto e da una decina di altre turbe che mi
rendono un borderline. Per non parlare dell’incapacità di provare
sentimenti che era tratto dominante già prima dei fatti.
– Ho preso appunti. Tu che faresti?
Corso fissò la macchia chiara che la resina aveva lasciato
sul tessuto consunto dei pantaloni.
– Ci metterei un uomo per un mese e darei un’occhiata ai
tabulati e ai siti che frequenta. Se ricomincia con le puttane
e il porno violento, ci farei due chiacchiere consistenti.
– Ma non è detto che ricominci, no?
Corso si alzò e andò alla porta.
– Mi chiami quando hai i risultati della Scientifica?
Arcadipane riportò gli occhi sul soffitto.
– Chiudi, che mi esce questo bel fresco.
Un livre qui, après quelques lignes, cite des vers de Cohen comme indice donne envie de suivre la piste! Et puis, ça fait plaisir de retrouver votre voix.
Finalmente un nuovo libro.
Il mangiatore dipietre è uno dei miei libri preferiti di sempre.
Molto intrigante per atmosfera e personaggi, mi procurerò il libro per proseguire la lettura.
Ho appena ultimato la lettura del suo libro. Mi è piaciuto molto. Trovo la sua scrittura è pietrosa, ma ricca d’ossigeno … dipende dall’amore per la montagna? Rimane una domanda cui non ho trovato risposta: perché il personaggio di Isa è così marcatamente simile a Lisbeth Salander? Ancora complimenti! Daisy
Scoperto con due anni di ritardo. Divorato. Apprezzato.
Adesso mi tocca cercare i precedenti.
Ci vediamo presto
I libri hanno questa bella cosa di invecchiare poco, o quasi niente. A volte mai (non so i miei). Se ti è piaciuto Bramard, forse il mio altro libro più sull’onda è il Mangiatore di pietre. Buone letture!
A parte l’accostamento Isa/Lisbeth Salander, chi vi ricorda il vecchio senatore dalle orecchie enormi, il naso affilato e gli occhi combattivi (“guardandoci dentro, pensò alle braci di un fuoco che aveva prodotto luce e calore, forse anche distrutto e devastato…”)?