Dalle acque di un torrente in fondo a una scarpata, in una valle del Piemonte, affiora il cadavere di un uomo: qualcuno lo ha fulminato con due colpi di fucile. Il corpo è quello di Fausto, trentenne pregiudicato. A ritrovarlo è Cesare, che tutti chiamano il Francese perché ancora bambino fu costretto a emigrare a Marsiglia. Tornato alle sue montagne, ha ereditato dallo zio un “mestiere” antico, tutt’altro che legale. Un mestiere fatto di risalite notturne, silenzi, fatiche. Cui ha iniziato, giovanissimo, proprio Fausto. Inizia con un omicidio, come ogni giallo che si rispetti, ma in questo romanzo il delitto è il modo per far emergere i rapporti tra le persone, le amicizie, gli odi e i tradimenti di una piccola comunità. Funziona proprio perché il delitto, con i suoi portati di esagerazione, non è lo scopo, il fine del racconto, ma una forma necessaria che non prevarica mai i personaggi. La lingua è asciutta come la storia che viene raccontata, le frasi sono brevi e secche, la trama si svela nei silenzi e nel non detto.
Maestro Utrecht
Ci apprestiamo dunque a indagare il mistero dei suoi ultimi dieci anni di vita; pronti ad acuire lo sguardo nelle zone d’ombra così come a far schermo agli occhi in quei rari momenti di luce abbagliante, sufficienti tuttavia a far risplendere un’esistenza che non ci si può astenere dal definire straordinaria.